martedì 17 giugno 2025

 

ALLA PRESENZA DEL SIGNORE CHE TI VEDE E ASCOLTA

 

Le parole e la preghiera siano fatte in modo da racchiudere in sé silenzio e timore. Pensiamo di trovarci al cospetto di Dio. Occorre essere graditi agli occhi divini sia con la posizione del corpo, sia con il tono della voce (San Cipriano).

L’abito che indossi deve essere consono alla Maestà del Signore, non balneare. L’uomo si scoprirà il capo ad indicare la riverenza verso Dio. La donna che indossa il velo, segnala la propria sacralità, oltre che quella verso Dio.

Non porterai con te animali, perché il Culto Divino è l’azione razionale del fedele, cioè di chi ha la fede.

“Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto” (Mt 4,10): è il primo Comandamento. Entrando in chiesa lo metti in pratica: si tratta del destino eterno della tua anima. Perciò non lasciare Lui per rispondere al telefonino: è peccato e non potresti ricevere la S.Comunione. Lo faresti, se stessi trattando affari importanti con qualcuno? Col Signore presente, nessuna notizia è più urgente.

Segnati con l’acqua santa per purificarti e fa’ la genuflessione o un inchino profondo. Al banco non ti sedere subito, ma sosta in ginocchio e raccogliti.

Quando stai seduto, non accavallare le gambe e non sdraiarti sullo schienale. Tieni le mani sulle ginocchia o giunte in preghiera, non conserte o penzoloni.

L’inginocchiatoio serve per poggiare le ginocchia e non i piedi. Se hai con te i tuoi piccoli, educali a fare altrettanto, tenendoli accanto.  

Se sei venuto per la tua preghiera privata, prendi il posto che ritieni, ma se sei venuto per la S.Messa o altra funzione liturgica, cerca di occupare i posti liberi a cominciare dai primi banchi perché partecipi all’azione pubblica della Chiesa di cui sei membro, quindi devi essere visibilmente unito e non isolato.

Usa l’Innario senza ripiegarlo su se stesso o facendo orecchie alle pagine, perché la prossima volta servirà a te e ad altri fedeli. Non asportarlo andando via. Se desideri una copia per te, chiedila in sacrestia. Se partecipi alla Messa in latino, procurati in sacrestia il sussidio per seguirla.

Quando il sacerdote eleva l’Ostia e il Calice, quando apre la porticina del Tabernacolo dove è custodito il SS.Sacramento, quando amministra la S.Comunione, ti metterai in ginocchio o al massimo in piedi, non starai seduto.

Se devi ricevere la S.Comunione, alle parole: Ecco l’Agnello di Dio…accostati alla balaustra e inginocchiati: sporgi appena la lingua, che ritirerai appena la particola sarà stata poggiata dal sacerdote: non afferrarla con i denti o le labbra. Ritornato al banco, entra in raccoglimento col capo chino per non distrarti.

Lasciando la chiesa, puoi accendere un cero e pregare così:

Signore, Ti prego: questo cero che sto per accendere

Sia luce perché tu mi rischiari nelle mie difficoltà e nelle mie decisioni.

Sia fuoco perché tu bruci in me ogni egoismo, orgoglio e impurità.

Sia fiamma perché tu riscaldi il mio cuore.

Io non posso restare a lungo in questa tua chiesa;

lasciando bruciare questo cero, è un po’ di me stesso che voglio donarti.

Aiutami a prolungare la mia preghiera nelle attività di questa giornata. Amen

 

 E NON CI INDURRE IN TENTAZIONE

Adamo ed Eva, Abramo, Israele nel deserto (Es 17,7) Giobbe furono tentati, ovvero messi alla prova.

“Ecco io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone” (Es 14,17).

“Ecco dunque il Signore ha messo uno spirito di menzogna sulla bocca di tutti questi tuoi profeti… perché il Signore ha decretato la tua rovina (1 Re 22,23).

Il Signore Gesù: “fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo” (Mt 4,1); al Getsemani disse: “Pregate per non cadere in tentazione” (Mt 26,41).

S.Paolo: “E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno consentito all’iniquità” (2 Ts 2,11-12: cfr CCC 675-676-677)

Tertulliano: “Non permettere che siamo indotti nel peccato dal diavolo” (De Oratione 8,1-5).

S.Cipriano: “Non permettere che siamo indotti in tentazione. Il diavolo non può niente contro di noi, se non glielo permette Dio. Ma questo male non è da attribuirsi a Dio ma ai nostri peccati. Come la deportazione d’Israele in Babilonia (Is 42,24-25) o la punizione di Salomone (1 Re 11,23)” (De dominica oratione 25-26).

Origene: “Fa’ che non entriamo nella tentazione” (Oratio 29,13).

S.Ambrogio: “Non permettere che cadiamo nella tentazione” (De Sacramentis”, V, c.4, 29- 30).

S.Agostino: “Non aver paura non ti abbandonerà nelle tentazioni colui nel quale hai creduto. ‘Dio è fedele e non permette che tu sia tentato oltre le tue forze’ ” (1 Cor 10,13) (46,12; CCL 41,539).

S.Antonio Abate: “Togli le tentazioni e nessuno si salverebbe”.

Il rapporto tra bontà divina, tentazione diabolica e permissione al male, da sempre rende la frase: ET NE NOS INDUCAS IN TENTATIONEM (καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν) (Mt 6,13) difficile da spiegare, perché sembra suggerire che Dio sia quasi il responsabile delle nostre tentazioni.

In italiano: il verbo indurre significa: spingere, ma anche condurre in un luogo. In greco: eisènenkes, dal verbo eis-ferein (nel Testo del Nuovo Testamento). In latino: inducas, da inducere (nel testo della Bibbia Vulgata). Ma la parola tentazione (greco: peirasmòs) vuol dire anche prova: in genere e in specie peirazein (tentare).

Per es. Deus tentavit Abraham (Dio mise alla prova Abraham) (Gn 22,1).

Hoc autem Iesus dicebat tentans eum (Gesù diceva questo (a Filippo) per metterlo alla prova). (Gv 6,6).

PER RISOLVERE IL PROBLEMA SAREBBE STATO MEGLIO MODIFICARE IL SOSTANTIVO TENTATIO

S.Tommaso d'Aquino: “tentare nihil aliud est quam experiri seu probare: unde tentare hominem est probare virtutem eius” (Premesso che Dio 'tenta' l'uomo per saggiarne le virtù, e che essere indotti in tentazione vuol dire consentire ad essa) "in questa(domanda)Cristo ci insegna a chiedere di poterli evitare (i peccati), ossia di non essere indotti nella tentazione per la quale scivoliamo nel peccato, e ci fa dire: "Non ci indurre in tentazione" [...].

L'Aquinate poi, chiarito che la carne, il diavolo e il mondo tentano l'uomo al male, annota che la tentazione si vince con l'aiuto di Dio, in quale modo? "Cristo ci insegna a chiedere non di non essere tentati, ma di non essere indotti nella tentazione"[...]. Infine, si chiede: "Ma forse Dio induce al male dal momento che ci fa dire: "non ci indurre in tentazione"? Rispondo che si dice che Dio induce al male nel senso che lo permette, in quanto, cioè, a causa dei suoi molti peccati precedenti, sottrae all'uomo la sua grazia, tolta la quale, egli scivola nel peccato. Per questo noi diciamo col salmista: "Non abbandonarmi quando declinano le mie forze"(Sal 71[70],9). E Dio sostiene l'uomo, perché non cada in tentazione, mediante il fervore della carità che, per quanto sia poca, è sufficiente a preservarci da qualsiasi peccato." (Commento al Pater noster 6).  

DUNQUE, IL TESTO DEL PATER NOSTER SI DOVEVA LASCIARE COM’ERA, QUALE SEGNO DELLA TRASCENDENZA DI DIO, SENZA CONFONDERE I TRE LIVELLI, CIOE’ LA TRADUZIONE, L’INTERPRETAZIONE, LA CATECHESI; OPPURE TRADURRE: NON CI INDURRE NELLA PROVA

La nuova traduzione italiana: E NON CI ABBANDONARE ALLA TENTAZIONE, invece, si è appiattita al livello ultimo: la catechesi, perché: il verbo abbandonare, non corrisponde a condurre, portare dentro. In tal modo, Dio appare non più come colui che induce alla tentazione, ma che può abbandonarci ad essa.

“Che cosa significa: “Non ci indurre in tentazione”? Noi domandiamo a Dio Padre di non lasciarci soli e in balia della tentazione. Domandiamo allo Spirito di saper discernere, da una parte, fra la prova che fa crescere nel bene e la tentazione che conduce al peccato e alla morte, e, dall’altra, fra essere tentati e consentire alla tentazione. Questa domanda ci unisce a Gesù che ha vinto la tentazione con la sua preghiera. Essa sollecita la grazia della vigilanza e della perseveranza finale (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, 596; cfr CCC 2850-2854-2863

 

DAL PECCATO ALLA RICONCILIAZIONE:

UN ITINERARIO DI RISCOPERTA DEL BATTESIMO

 

 

 

1.    Quello che oggi non si dice sulla causa originale dei mali del mondo e dell’uomo:

 

-        il peccato dell’uomo e l’azione del Maligno.

 

 

2.     “Lo stolto pensa: non c’è Dio” (Sal 13), ovvero la negazione della religiosità innata nell’uomo:

 

-    l’abbandono della condizione di creatura e di figlio di Dio.

 

 

3.     “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15), cioè la necessità di invertire la rotta:

 

-        un percorso di ritorno alla condizione filiale da cui mi sono distaccato, mediante un itinerario di rinuncia alle varie forme di male (questa è la penitenza).

 

4.     La riconciliazione  è

-        riconoscere che l’amore di Dio Padre è infinitamente più grande del mio peccato (questa è la misericordia).

 

     -   chiedere al Figlio Gesù Cristo che mi dia la forza per rinnovare la mia vita onde usare  bene la mia libertà(questa è la grazia).

 

-        attingere questa grazia nello Spirito Santo attraverso la Confessione e la Comunione, i sacramenti che mi fanno passare dal peccato alla riconciliazione.

 

 

5.    La ‘cura’ per non ricadere nel male e vivere da persone salvate e riconciliate: la preghiera. Attraverso di essa lo Spirito Santo Dio ci fa adorare, domandare, intercedere, ringraziare, lodare. In particolare la tradizione cristiana conserva e raccomanda tre forme di preghiera:

-        la preghiera vocale, perché come uomo devo manifestare i sentimenti interiori;

-        la meditazione, che cerca di comprendere ciò che Dio vuole da me;

-        l’orazione “uno sguardo di fede fissato su Gesù, un ascolto della Parola di Dio, un silenzioso amore” (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica 2700-2724).

 

 

 

COSA VUOL DIRE RICORDARE I DEFUNTI


L'Eucaristia viene offerta, secondo la tradizione degli Apostoli, anche per i Defunti in Cristo, non ancora pienamente purificati. Una conferma significativa è nel testamento di santa Monica, che – prima di morire – così parla ai suoi due figli: «Questo solo vi chiedo: che vi ricordiate di me all’altare di Dio, dovunque vi troverete» (sant'Agostino,Confessioni 9,11).

I Defunti, non sono più in grado di rivolgere personalmente a Dio questa domanda, per questo noi veniamo in soccorso alla loro debolezza e, sostituendoci amorevolmente alla loro bocca non più in grado di comunicare, domandiamo per essi, attraverso la nostra comunione di suffragio, quella trasformazione che ardentemente attendono.

Che cosa significa ricordarci dei nostri morti all’altare di Dio, se non ricordarne a Dio i nomi durante la Santa Eucaristia?Infatti, con l’intercessione per i Defunti  altro non si chiede per essi se non ciò che chiediamo per noi stessi, e cioè che anch’essi siano trasformati  «in un solo corpo», quello di Gesù Cristo vivente per sempre.

Il sacerdote celebrante pronuncia il nome durante la Preghiera eucaristica della S.Messa, e nella Preghiera dei Fedeli, quando è prevista: con esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrena, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza ottenuta per mezzo del Corpo e del Sangue di Cristo.(cfr Ordinamento Generale del Messale Romano(=OGMR, III ed., n. 79 g). La Chiesa offre il Sacrificio Eucaristico della Pasqua di Cristo per i defunti, in modo che, per la comunione esistente fra tutte le membra di Cristo, gli uni ricevano un aiuto spirituale e gli altri il conforto della speranza (cfr OGMR 379).

 

Il sacerdote menziona più volte il nome del defunto(nelle orazioni di Colletta, Sopra le offerte e dopo la Comunione, oltre che nella Preghiera Eucaristica ed eventualmente nella Preghiera dei Fedeli)solo quando celebra la 'Messa per i Defunti':

- alle Esequie(funerale)che si possono celebrare tutti i giorni, eccetto le solennità di precetto, il Giovedì della Settimana santa, il Triduo pasquale e le domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua, osservando inoltre tutto quello che prescrive il diritto canonico(cfr OGMR 380).

- alla notizia della morte di una persona, o nel giorno della sepoltura definitiva, o nel trigesimo o nel primo anniversario, se lo consente il calendario liturgico(cioè nelle ferie del tempo ordinario nelle quali occorrono memorie facoltative o si fa l’Ufficio della feria, ma anche fra l’ottava di Natale, nei giorni nei quali occorre una memoria obbligatoria o una feria, che non sia il Mercoledì delle Ceneri o una feria della Settimana santa) (cfr OGMR 381).

        In questi casi si usa il colore viola o il colore nero (cfr OGMR,346 d).

        Durante l'omelia, il sacerdote può fare riferimento,se ritiene, al defunto e menzionarlo, escludendo però la forma dell’elogio funebre (cfr OGMR 382).

 

Non c'è modo migliore per ricordare e aiutare il defunto, da parte dei fedeli,specie familiari e amici, che confessandosi e facendo la santa comunione, offrendola per il defunto stesso(cfr OGMR 383).I nostri cari non desiderano altro che la nostra unione piena con Gesù.

 

Quanti nomi far dire per ogni Messa?In ragione di quanto detto, meglio non più di 2 nomi. L’intenzione per cui si celebra la Messa è scritta, prima di tutto, nel cuore dell'offerente: è quella che Dio vede ed esaudisce. Nel caso di molte persone è meglio riunirle insieme, come “Defunti della famiglia....”, evidenziando così che si intendono affidare al Signore tutti i famigliari.

Si desidera che non siano detti altri nomi, oltre ai propri. È possibile? Anche quando vengono unite più intenzioni, per ognuna di esse viene sempre assicurata la celebrazione di una Santa Messa. Nel caso in cui, però, si preferisca che non vengano accettate altre intenzioni, lo si deve dire quando la Messa viene “segnata” sull'agenda, con la nota: “non si aggiungano altre intenzioni”.

Cosa succede se il sacerdote non dice il nome?Il valore della Messa e l'“applicazione” per una determinata intenzione è data dal proposito che il sacerdote mette nell'offrire il Santo Sacrificio e non dal fatto che venga detto o meno il nome o l'occasione della celebrazione. Pertanto anche nel caso in cui si dovesse sbagliare il nome o non fosse detto, la Messa è valida secondo quanto voluto dal celebrante che, prima di tutto, corrisponde all'intenzione e alla volontà di chi ha chiesto di celebrare la Messa.

Come fare se non è possibile far celebrare la Messa nel giorno desiderato?Per Dio non c'è il limite del tempo. In lui tutto è presente. Noi ricordiamo gli anniversari per “convenzione” ma è sempre possibile e doverosa una certa elasticità per adattarsi alle situazioni concrete. Pertanto anche quando non è possibile celebrare la Messa nel giorno preciso della ricorrenza, ha uguale valore celebrarla in sua prossimità.

Ma quanto costa?La Messa non si “paga”, perché il sacrificio di Gesù non ha prezzo. È lui che ha “pagato” il nostro riscatto dalla schiavitù del peccato. A titolo indicativo i Vescovi lasciano alla sensibilità dei fedeli e alle possibilità di ciascuno la piena libertà di contribuire alle necessità della Chiesa. Tuttavia, l'offerta indicativa per la celebrazione di una Messa viene stabilita dal Vescovo diocesano(salvo diversa ed esplicita indicazione da parte dell'offerente).

Ha senso dire: questa è la mia Messa? Ogni Messa è azione di tutta la Chiesa ed è a beneficio di tutta la Chiesa, di tutti i fedeli vivi e defunti. Nessuno può “appropriarsene” in modo esclusivo, anche quando viene detto il nome o il motivo della celebrazione.

L’ “INTENZIONE” DELLA SANTA MESSA

La parola Missa è il participio passato del verbo latino mittere: inviare, mandare (missiva=lettera inviata). Che cosa viene inviato? Il santo Sacrificio di Cristo. Infatti nella preghiera eucaristica del Canone romano si dice: “Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa’ che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull’altare del cielo davanti alla tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo mistero del corpo e sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del Cielo”. Alla fine della Messa, il sacerdote congeda i fedeli dicendo: Ite, missa est, ossia: Andate, l’offerta di Cristo, vittima immolata, è stata inviata(missa) nel santuario celeste.

Ogni volta che viene celebrata una Messa, ne derivano tre benefici: quello generale (per la Chiesa intera), quello particolare o ministeriale (per l’intenzione del sacerdote come ministro), e quello personale (per ogni fedele, il sacerdote incluso, che vi partecipa, ciascuno a seconda della propria disposizione).
L’intenzione per cui il sacerdote accetta un’offerta, non costituisce la propria intenzione personale ma la sua intenzione come sacerdote, cioè come ministro del sacrificio.

In ogni Messa si può mettere un’intenzione primaria, per esempio per i bisogni di una persona vivente, oppure per il suffragio di un defunto, ed una o più intenzioni secondarie, per esempio, per altri viventi o defunti. Le può mettere un unico fedele offerente o più fedeli.

La Messa in suffragio per un defunto è una celebrazione eucaristica durante la quale il sacerdote, tramite preghiere e indulgenze prega Dio per ottenere da lui la remissione della pena temporale inflitta a tutti i defunti. L'espressione “Messa in suffragio” viene dal latino suffragium, probabilmente composto dal prefisso sub e dal termine fragor, cioè “fragore”. In gergo teologico e liturgico suffragare significa destinare determinati frutti delle messe o di altre pratiche alla remissione dei peccati delle anime del Purgatorio.  Secondo la Chiesa Cattolica l’usanza di offrire sacrifici in espiazione dei peccati dei defunti è già nota nell’Antico Testamento, infatti in 2 Maccabei 12:45 si legge di Giuda, l’eroe fortissimo che fece offrire un sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.

Le anime che non sono completamente pure, di coloro che pure sono morti nella grazia di Dio, ma conservando in cuore tracce di peccati veniali (per esempio: egoismo, gelosia, mancanza di amore per il prossimo), hanno bisogno di essere purificate. Questo stato temporaneo è definito Purgatorio, che letteralmente significa purificazione, ed è lo stato in cui si trovano nell'aldilà le anime dei defunti che si sono pentiti dei peccati commessi e che devono espiarli per diventare degni di entrare in Paradiso. Con la Messa in suffragio, il sacerdote, i parenti, e la Chiesa tutta, chiedono a Dio di perdonare quei defunti e di accoglierli prima possibile nel suo regno.

La Messa celebrata dal sacerdote per un defunto, ha più valore di una Messa che il fedele ascolta e offre in suffragio?

1. Il sacrificio che Cristo ha compiuto sul Calvario in espiazione dei nostri peccati, per la volontà stessa di Nostro Signore, viene perpetuato dalla Chiesa nella celebrazione dell’Eucaristia. Egli ha detto infatti: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Fate è un imperativo, un comando. Gesù stesso inoltre ha mostrato come si perpetua il suo sacrificio. Lo ha anticipato nell’ultima cena istituendo il sacramento dell’Eucaristia.

2. È dunque il sacerdote che celebra la Messa. È lui che offre il sacrificio.
Lo fa agendo col potere divino affidatogli e in diretto collegamento con Cristo. La Chiesa dice che celebra in persona Christi, identificandosi con Cristo. I fedeli si uniscono a lui, ma non celebrano la Messa. Offrono invece il sacrificio di Gesù con le mani e per le mani del sacerdote. Lo ricorda il Concilio Vaticano II nella costituzione Sacrosanctum Concilium: “Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchianon soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti” (SC 48).

3. Gesù Cristo ha messo nelle mani della Chiesa il suo sacrificio.
Ma più specificamente l’ha messo nelle mani dei sacerdoti, per cui se non c’è un sacerdote che celebra la Messa il sacrificio non viene perpetuato sull’altare. Tuttavia il sacerdote, come ha ricevuto il potere di consacrare, così ha ricevuto anche il potere di destinare il sacrificio di Cristo per una particolare intenzione. Anche i fedeli possono destinare il sacrificio di Cristo secondo le loro particolari intenzioni. Ma il sacerdote lo destina agendo in persona Christi, identificandosi con Cristo. Per cui, allo stesso modo in cui, quando il sacerdote pronuncia le parole consacratore, è Cristo che le pronuncia attraverso le labbra e l’intenzione del sacerdote, così avviene anche per la destinazione del sacrificio secondo un’intenzione particolare. È la destinazione particolare che Cristo accetta e fa sua attraverso la mediazione del sacerdote.